E’ iniziato un nuovo anno scolastico,
come sempre preceduto da una settimana di corsi aggiornamento, riunioni
collegiali, consigli di classe ecc…
Di solito i corsi di aggiornamento
non mi attirano molto, soprattutto perché, dopo tanti anni d’insegnamento, ho
già sentito dire proprio di tutto e sembra non esserci nulla che mi possa
ancora stupire.
Qualche giorno fa ho seguito, però,
un corso veramente interessante, e non sono soltanto io a dirlo, ma tutto un
collegio docenti.
Il corso era tenuto dal Prof.
Raffaele Mantegazza, docente di Scienze pedagogiche all’Università di Milano
Bicocca.
Già il titolo era un vero programma: «La macchina da scrivere e il dado Knorr»
Accipicchia, cosa potevano avere in
comune quei due oggetti? Cosa avevano a che fare con noi? Eravamo tutti
incuriositi.
Ci è stato spiegato che la macchina
da scrivere oggi non serve più, perché è stata sostituita dal pc, molto più
efficace. Ebbene, anche la scuola un giorno potrebbe essere sostituita:
esistono le lezioni online e la scuola parentale.
Il dado, per contro, in una ben nota
pubblicità televisiva, è sempre stato presentato come «Il dado che sa fare il dado», un po’ come dovrebbero essere gli
insegnanti: non psicologi, infermieri, sociologi, carabinieri, tuttologi … ma solo
insegnanti, persone che cercano di svolgere bene il proprio mestiere, che è
quello di trasmettere cultura, ma anche di aiutare i ragazzi a diventare
persone capaci di ragionare e di affrontare la vita con coraggio e
determinazione.
Perché frequentare la scuola? Per
imparare nuove nozioni? Esistono Internet e Wikipedia, si può trovare di tutto
senza uscire di casa! Come se non bastasse, sta cominciando ad affermarsi la “scuola
parentale”, cioè l’istruzione a casa, offerta da genitori, parenti e amici.
Per socializzare? Perché mai si
dovrebbe per forza socializzare con persone che non hanno nulla in comune e di
cui non importa assolutamente nulla? Ci sono tanti posti per socializzare e per
trovare persone affini al proprio modo di essere, non è necessario trovarle a
scuola!
La scuola però offre qualcosa che le
altre opportunità non danno, cioè la possibilità di condivisione. E’ bello
condividere saperi, scambiare opinioni su vari argomenti, aiutare un compagno a
capire un concetto difficile, collaborare insieme nella realizzazione di un disegno,
di una mappa, di un canto!
Non è così necessario che si
rincorrano progetti, concorsi, attività presentate con termini altisonanti. Niente
è più bello della normalità: leggere un libro interessante, scrivere, contare,
sperimentare, suonare, condividere il panino nell’intervallo, conoscere insieme
la realtà circostante. W la normalità!
La scuola poi non dovrebbe essere
competitiva. Tutti devono essere messi nelle condizioni di imparare e nessuno
dovrà mai sentirsi il primo della classe o il somaro di turno. Ogni ragazzo ha
un’intelligenza diversa da tutti gli altri: visiva, uditiva, manuale, spaziale,
creativa …. e deve essere messo nelle condizioni di metterla in luce, senza
doversene vantare o vergognare.
La scuola non deve essere giudicante.
Non si può dire che un ragazzo non combinerà mai nulla di buono nella vita, che
finirà sulla cattiva strada, o che diventerà sicuramente un manager o un
personaggio importante. Fino ai quattordici anni e anche oltre, tutti
cambiamenti sono possibili e niente è prevedibile.
Infine, una storia, che risponde alla
domanda: « Quale ritorno avrò dai miei alunni? Quando mi ricompenseranno
per le fatiche loro dedicate al fine di una buona formazione educativa e
didattica?»
«Un uccellino
femmina aveva costruito il nido troppo in basso su un albero e, a causa del
maltempo, si trovò nella condizione di
doverne fabbricare un altro più in alto e dall’altra parte del fiume. Mentre viaggiava
sull’acqua portando tra le zampe il primo uccellino, che ancora non sapeva volare, gli domandò: «Figliolo, mi
prometti che, quando sarò vecchia, ti occuperai di me?».
Il figlio rispose
che l’avrebbe sicuramente fatto, ma lei allargò le zampe e lo lasciò affogare
nel fiume. La stessa cosa successe con il secondo uccellino.
Quando ripeté
la domanda al terzo uccellino, questi rispose: «Non posso prometterti che lo
farò, non conosco le mie possibilità future, ma so che aiuterò i miei figli
come tu ora stai facendo con me». La
mamma lo portò in salvo».
E’ una storia drammatica e si spera che
nessuna madre si comporti mai così con i propri figli, ma è proprio questo che
dobbiamo aspettarci dagli alunni: non che ci diano soddisfazione con brillanti
carriere, ma che nella vita possano portare con loro un poco di noi e lo
trasmettano ad altri.
Questo corso mi è piaciuto perché ha
confermato molte delle mie convinzioni e mi ha fatto pensare che, quando andrò
in pensione, o non ci sarò più, forse ci saranno ancora dei giovani che
porteranno avanti ciò che ho cercato loro di trasmettere in tutti questi anni,
non solo didatticamente, ma anche, e soprattutto, dal punto di vista umano.