Le mie più belle storie vere.

 Questa è la pagina delle storie vere di Katherine, racconti di vita vissuta, che mi hanno dato emozioni, gioia, tristezza, soddisfazione,  tanto da non volerli  più dimenticare.
Condivido con voi questi momenti, sperando che la lettura sia gradita.

La mia prima storia, "La storia di Gino e Pino", scritta nel lontano 2004, all'inizio della mia avventura nel mondo blog, racconta un'amicizia ritrovata dopo tantissimi anni di lontananza tra l'Italia e il Venezuela. Due amici d'infanzia e di gioventù che non si sono mai dimenticati e che, grazie al web, possono parlarsi ancora nonostante abbiano ormai superato gli ottant'anni e siano almeno trent'anni che non hanno notizie l'uno dell'altro.

L'amicizia vera non conosce confini, ne' limiti di tempo o di età. 



LA STORIA DI GINO E PINO

C’era una volta, intorno agli anni venti, un bambino triste chiamato Gino. La sua mamma era stata molto malata ed era volata in cielo, poi anche il suo amato fratello maggiore lo aveva lasciato per raggiungere la mamma e il cuore del suo papà, dopo tanta sofferenza, si era inaridito, non sapeva più amare, o forse non voleva più farlo, per non soffrire di nuovo... 

Nella casetta di fianco a quella di Gino viveva una famiglia felice, con un figlio che si chiamava Pino. Quella era un esempio di famiglia che Gino aveva sempre desiderato e Pino diventò il fratello che a Gino mancava tanto. Erano sempre insieme, inseparabili, condividevano tutto: giochi, confidenze, marachelle, le prime esperienze di vita... 

Passarono gli anni e i due bambini si trasformarono in ragazzi e poi in uomini; affrontarono separatamente la dura esperienza della guerra, ritornarono, trovarono due brave mogli e le portarono nelle loro case, l’una di fianco all’altra. L’amicizia si allargò includendo le due donne e tutto andò avanti fino ai primi anni cinquanta. Pino era però insoddisfatto: era un uomo intraprendente, intelligente, pieno di ambizioni e progetti. Era anche un bravissimo meccanico e la situazione precaria del dopoguerra gli faceva sognare altri lidi, altri  orizzonti. Così lui e la moglie fecero le valigie e partirono verso l’avventura della grande America.  

Gino e Pino si rividero soltanto tre volte, nei cinquant'anni che seguirono, durante i tre rimpatri di Pino. I primi avvennero in occasione della nascita dei figli Federico e Graziella, che nacquero così in Italia e il terzo negli anni ottanta. Poche ore da trascorrere insieme, poche ore per apprendere che Pino abitava a Caracas, in Venezuela, che aveva aperto un’officina, che amava fare lunghi viaggi per andare a pescare, ma in quei cinquant'anni la situazione era cambiata, l’Italia aveva fatto grandi progressi e, tutto sommato, la vita era molto più facile e comoda nel vecchio continente. Quale nostalgia per Pino! Forse anche rimpianto per non aver saputo aspettare ...

Passarono altri vent’anni e forse la storia sarebbe finita lì se non fosse capitato che un giorno... 

Un giorno la figlia di Gino era al computer e scaricava la posta. Tra le tante e.mail era arrivata la pubblicità di alcuni siti e, tra questi, uno attirò la sua attenzione. Diceva:
“ Se volete avere notizie di una persona emigrata all’estero, lasciate un messaggio e, forse, tra le tante persone che navigano nel web, ne troverete una che vi comunicherà l’informazione cercata.”

Così la figlia di Gino lasciò il suo messaggio,senza crederci troppo e senza dire nulla a suo padre. 

Il giorno dopo le rispose Miguel, un ingegnere argentino. Le disse di aver compiuto alcune ricerche e di aver trovato alcune persone corrispondenti a quel nome a Caracas; disse anche di aver preso contatto in quella città con una certa Greta, che si dichiarava disponibile a continuare le ricerche.

Così la figlia di Gino scrisse a Greta e la donna mise in moto una gigantesca macchina di operazioni. Inviò gli amici a cercare nei bar e nei locali frequentati dagli italiani, cercò nelle banche (dove, presumibilmente, lavorava la figlia di Pino), cercò sulle pagine bianche e sull'elenco del telefono, telefonò lei stessa a diverse persone.  

Nel giro di tre giorni dal primo messaggio partito sul forum pubblicitario, la figlia di Pino, Graziella, era stata ritrovata e messa in contatto.

Si seppe così che Pino era vivo e vegeto, ancora pieno di vitalità ed energia, ma era molto triste perché la sua amata moglie da poco era mancata. Quale gioia per i due vecchi amici avere notizie dopo tanto tempo! Due persone che non si erano mai incontrate e che non conoscevano Gino e Pino avevano messo in moto mezza America per permettere ai due amici di ritrovarsi ed erano immensamente felici. Lo ritenevano un dono grandissimo, più bello che qualsiasi regalo materiale. 

Greta e Miguel diventarono gli amici virtuali dei due vecchietti, e vollero sempre essere informati sui progressi dei loro rapporti.

Incredibile! Trovare amicizie virtuali a ottantatré anni e riuscire a provare, grazie a loro, ancora una gioia così grande! In seguito intervenne anche Federico, il figlio di Pino, che collaborò con la figlia di Gino per organizzare un incontro attraverso Skype.  

I due amici poterono quindi rivedersi, provando emozioni fortissime.

"E' un miracolo!" Diceva Pino. "Mi sembra di poterti toccare!" Rispondeva Gino, mentre allungava le mani verso il monitor del pc. "Hai perso un sacco di capelli!" 
"Anche tu!"

E ridevano, scherzavano, s'informavano sui cambiamenti avvenuti, sugli amici persi... 

Passarono alcuni anni e, finalmente, Pino, a quasi novant'anni decise di tornare in Italia per rivedere Gino. Gino, di poco più vecchio, era però stanco, malato, il suo corpo non ce la faceva più. La mente era sempre la stessa, lucida, con uno spirito vivace, una memoria di ferro, ma le crisi respiratorie si susseguivano e il cuore cominciava a dare segni di cedimento. 

Quando Pino finalmente arrivò, in una splendida domenica di sole, Gino era stato sepolto tre giorni prima. Un incontro che avrebbe potuto essere memorabile si trasformò in momento di dolore profondo.

Pino si lasciò andare a un pianto disperato, poi si fece accompagnare al cimitero dove, dopo aver pregato, raccolse alcuni fiori ancora freschi della corona mortuaria, che mise con religiosità e infinita delicatezza insieme alla fotografia dell'amico scomparso. 

La figlia di Gino avrebbe voluto chiedergli tante cose, farsi raccontare le storie vissute in

gioventù dal suo papà, ma non poteva. Ancora non aveva superato il suo dolore e già si ritrovava a consolare un'altra persona per lo stesso suo strazio. Non era il momento di parlare, ma solo di ascoltare la voce dei cuori.  

Tante belle storie di solidarietà, amicizia, grande umanità, esistono nel mondo, ma rimangono nascoste, racchiuse nei cuori di chi li vive, mentre passano sui teleschermi e sui giornali le notizie più terribili, che ci fanno pensare a un mondo grigio, arido, senza amore!  

Per questo ho voluto raccontarvi questa vicenda,perché non bisogna mai perdere la speranza.

Gino era mio padre e questa è la nostra storia.


 COMMOZIONE ALL'ESAME DI LICENZA MEDIA.
Una straordinaria storia d'integrazione e d'amicizia tra un ragazzo del Burkina Faso, decisamente refrattario alle regole scolastiche nostrane, e due compagni gemelli italiani che, con pazienza e generosità,  l'hanno aiutato ad inserirsi nella classe e a maturare un comportamento responsabile.

COMMOZIONE ALL'ESAME DI TERZA MEDIA 


C’era una volta un ragazzo arrivato in Italia da un lontano Paese dell’Africa. Non si trattava di un Paese ricco e industrializzato, ma uno di quei villaggi dove le famiglie vivono ancora nelle classiche capanne di fango col tetto di paglia, con niente altro che qualche utensile e un giaciglio di foglie di miglio. E’ uno dei paesi più poveri al mondo, che finanzia la sua economia in gran parte grazie agli aiuti umanitari e dove il tasso di alfabetizzazione è molto basso.  

Il ragazzo, che chiamerò Mustafà, in base all’età venne iscritto alla Scuola Media, ma il suo grado di istruzione non era sicuramente adeguato, senza contare che non conosceva l’Italiano. La sua classe era molto numerosa, ma i compagni lo accolsero bene e fecero subito amicizia con lui, nonostante il suo comportamento fosse spesso di disturbo al lavoro scolastico. I professori si arrabbiavano, ma poi cercavano anche di capire. Il poveretto era passato direttamente dall’estrema libertà del villaggio africano alla rigidità delle regole  scolastiche europee. “Devi stare seduto nel banco, alzare la mano per parlare, stare attento alle spiegazioni, svolgere i compiti…” Ah quelle non erano certo regole che facevano per lui! C’erano poi materie o attività che proprio non gli interessavano, e allora faceva il diavolo a quattro, si alzava dal banco, girava per la classe, parlava forte, faceva i dispetti persino agli insegnanti.  

In prima media il Consiglio di classe discusse a lungo sulla promozione; non si era certo impegnato o aveva raggiunto gli obiettivi richiesti, ma era grande e grosso e aveva un buon rapporto con i compagni che, non solo lo tolleravano, ma addirittura lo tenevano calmo e lo aiutavano a superare le difficoltà. Dove avrebbe trovato un altro ambiente simile? In effetti, nella classe c’erano anche due ragazzi gemelli, molto intelligenti e preparati, ma anche umili e disponibili alla collaborazione, che si prendevano letteralmente cura di lui come due bravi papà. Andavano a riprenderlo quando si attardava in bagno, lo facevano sedere accanto a loro quando era nervoso, gli parlavano dolcemente invitandolo alla calma ed all’impegno, gli spiegavano quello che non capiva. Avevano con lui una pazienza veramente da santi. Nello stesso tempo erano anche molto collaborativi con gli insegnanti. Si preoccupavano di accendere o spegnere la lavagna interattiva, chiudevano a chiave la porta della classe quando avvenivano gli spostamenti in altri luoghi, facevano in modo che sulla cattedra fossero sempre pronti i materiali giusti, come il vocabolario, i giornali, i cd ecc...  

Passarono tre anni e Mustafà imparò l’Italiano e qualche materia migliorando, almeno in parte, il comportamento troppo agitato.

Il primo giorno dell’esame di terza media scrisse un testo per lui veramente strabiliante, data la correttezza ortografica e grammaticale, ma soprattutto scrisse di essere stato molto fortunato ad aver incontrato due compagni di classe come i gemelli, “Due ragazzi alti uguali, capelli neri, occhi marrone, sguardo sempre felice e bocca sorridente. Straordinari, altruisti, gentili, affidabili più di qualsiasi altro. In quei tre anni, l’avevano aiutato, sostenuto e, quando non aveva voglia di fare niente, gliel’avevano fatta venire. Gli avevano dato tutto senza nulla in cambio”  

Mustafà si augurava di potersi sdebitare, un giorno, ma sentiva che sarebbe stato difficile perché l’aiuto che aveva ricevuto era “INSDEBITABILE”, però era certo che quei ragazzi “Gli sarebbero rimasti cari per tutta la vita”.  

Quando giunse il giorno dell’esame orale per i gemelli, l’insegnante di lettere li fece entrare insieme,  per un momento, nell’aula, dicendo che avrebbe fatto qualcosa che non aveva mai fatto in tutta la sua vita, cioè leggere pubblicamente il frammento di un tema d’esame di un loro compagno. Disse anche che l’eccezione era proprio necessaria e presto avrebbero capito perché.

Lesse così, con grande sentimento, la parte dell’elaborato di Mustafà che li riguardava e i gemelli diventarono prima tutti rossi, poi cominciarono a piangere come fontane. A quel punto, anche la Commissione d’esame non poté più trattenere le lacrime e tutti piansero.  Pensavano alla fatica di quei tre anni, alle arrabbiature, ai piccoli e grandi successi, al sorriso di quei ragazzi nonostante tutto e tutti, a quell’alunno che, da piccolo, testardo selvaggio, si era trasformato in una persona responsabile e riconoscente, all’inevitabile allontanamento di quella splendida classe verso nuovi orizzonti e percorsi formativi. Naturalmente molti avevano dimenticato i fazzoletti ma, per fortuna, esistevano quelli di riserva della prof. di arte, che li aveva portati prevedendo la tipica “commozione da esame” e l’emergenza venne superata.

Fu per tutti un bel momento perché, nonostante quel che si può pensare, non c’è niente che dia più gioia e commozione quanto un pianto di felicità.  

Questa non è una favola, ma quanto successo nella mia commissione d'esame di terza media.


L'ANGELO DEL MALE
La storia vera di un ragazzo che, pur avendo tanto dalla vita,  non riusciva a vivere una vita normale, poiché una strana ed irresistibile inquietudine lo spingeva a cercare continue “emozioni forti”, rischiando di distruggere se stesso e provocando un enorme dolore nelle persone che lo amavano o che venivano a contatto con lui. E’ stato uno degli alunni più problematici che abbia mai avuto.

L’ANGELO DEL MALE


Gabriele nacque 37 anni fa in una semplice ed onesta famiglia, che già aveva una bimba di pochi anni, gentile, graziosa ed educata. Ma Gabriele dimostrò fin dall'infanzia di non possedere la docilità della sorellina: già a tre anni le maestre dell'asilo che frequentava non riuscivano in alcun modo a farsi ubbidire e a tenere a freno la sua eccessiva vivacità ed intraprendenza, e così successe anche alle maestre delle elementari. I genitori avevano lo stesso problema a casa e così, per la scuola media, lo iscrissero in un Istituto privato, gestito dai Salesiani. Pare che i Salesiani dispongano dei migliori psicologi e pedagoghi, capaci di comprendere immediatamente le potenzialità dei loro allievi. Fu così che, entro il primo anno, definirono il ragazzo "indomabile" e spedirono immediatamente la " mela marcia"  nella scuola statale, una scuola che non può rifiutare nessuno. 

Gabriele non era un ragazzo violento, nel senso che non picchiò o minacciò mai nessuno, ma si rivelò subito un leader in negativo: i ragazzi pendevano dalle sue labbra e se lui decideva che la lezione non doveva avere luogo, nessun insegnante riusciva a farlo...Gabriele doveva sempre essere al centro dell'attenzione: si alzava dal banco quando voleva, entrava, usciva, parlava con i compagni ad alta voce...La cosa strana era che, pur non prendendo mai un libro in mano, né svolgendo mai un compito, era bravissimo in tutto: un genio in matematica, un eccellente pittore, un abile musicista...figuratevi che riuscì ad imparare a suonare il pianoforte, con entrambe le mani, solo guardandomi mentre lo facevo! Naturalmente, quando si cantava, si sentiva solo la sua voce, quando ritmava sul tamburello copriva tutti...insomma, eravamo continuamente in conflitto. Io avevo solo poco più di vent'anni, ero alle prime armi, e quella era una situazione che avrebbe richiesto invece una grande esperienza. Ma capitò anche che alcune colleghe, molto più anziane ed esperte di me, non riuscissero a trattenere lacrime di rabbia e disperazione davanti a tutta la classe.

Crescendo, le marachelle si ingigantirono. Scappava di casa tutte le notti per andare in giro con ragazzi più grandi, convinse alcuni compagni di scuola a fargli "da palo" durante un furtarello in un supermercato, gettò il registro di classe in un canale mentre un suo compagno se ne assunse la colpa...I genitori erano disperati e noi altrettanto; insieme le provammo tutte, ma Gabriele diventava ogni giorno più indomabile. Terminata la scuola media, il passo verso il mondo della droga fu breve.

 Nel giro di pochi anni fu visto spesse volte ricoverato all'ospedale, pallido, con occhiaie profonde, il volto segnato dalla sofferenza delle crisi di astinenza e dai vani tentativi di disintossicazione.... Eppure, per molti ragazzi, continuava ad essere un mito: era intelligente, creativo, disinvolto, affascinante...un artista. Un artista che non poteva fare a meno delle "emozioni forti". E aveva anche una sua etica: rifiutava la droga a quelli che riteneva i suoi amici. Ma per quelli che non erano ritenuti " amici" il discorso era diverso: a vent'anni Gabriele finì in prigione per detenzione e spaccio di stupefacenti. Venni a sapere che, anche in carcere, era diventato l'idolo degli altri detenuti e dei carcerieri, affascinati dalla sua forte personalità e dalle sue mille abilità.

 Qualche tempo dopo, me lo trovai a scuola. Si presentò alla porta con un suo amico "sano", anch'egli mio ex allievo, durante una mia ora di lezione e non potei fare altro che invitarlo ad entrare. Mi strinse la mano, mi trattò con gentilezza e rispetto, mi ringraziò persino per le cose che gli avevo , a suo tempo , insegnato, e mi spiegò che era appena uscito dal "collegio", dove aveva capito che quella vita non faceva per lui: aveva sempre amato troppo la libertà per potevi rinunciare, e avrebbe fatto di tutto per evitare di tornarci. Mi venne in mente di mettergli una chitarra in mano e di chiedergli di cantare per noi: iniziò con dei bellissimi e difficili passaggi di assolo con lo strumento e poi passò a cantare una sua canzone. La voce era calda, ricca di sfumature, e le parole raccontavano in metafora tutta la storia della sua vita, una vita piena di sbagli, ma ricca di intense emozioni. I ragazzi non potevano capire il significato del testo, ma ascoltavano rapiti, conquistati, in assoluto silenzio, e la voce di Gabriele vibrava nell'aria, accompagnata da suoni bellissimi. 

Dopo quell'incontro, Gabriele si fece aiutare dall'equipe di medici e psicologi del SERT( servizio tossicodipendenze ) per uscire dal tunnel dell'eroina. Una mia amica psicologa mi raccontò che, quando le sue colleghe tentarono di coinvolgerlo in varie attività per tenergli la mente occupata, finirono per diventare esse stesse le sue allieve: lui teneva loro lezioni di canto, di musica, di disegno, di bricolage...era una specie di Re Mida, che faceva diventare oro tutto quello che toccava. Si disintossicò completamente, incise un CD di suoi pezzi originali in un importante studio di registrazione, si iscrisse ad un concorso SIAE per diventare compositore e lo vinse , trovò un lavoro e anche una moglie...naturalmente non avrebbe potuto trovare una donna "normale", la normalità era una noia terribile per lui...sposò una ex tossicodipendente, dopo averla aiutata ad uscire dalla droga.

 Riprese a suonare con il suo gruppo e a comporre testi e musiche. Aveva tutto: bellezza, intelligenza, creatività, successo, amicizia e amore. Quanti ragazzi pagherebbero tutt'ora qualsiasi cosa pur di avere tutto ciò che aveva lui! La mia amica psicologa mi disse che Gabriele era un ragazzo troppo intelligente, nato in una famiglia troppo "semplice", che non aveva saputo convogliare nel modo giusto tutte le sue enormi possibilità. Genio e sregolatezza! Disse anche che ormai era entrato ed uscito troppe volte dal tunnel dell'eroina e che, se fosse ricaduto ancora una volta, sarebbe stato quasi impossibile uscirne definitivamente. Ma eravamo tutti felici ed ottimisti, perché il suo ritorno dal mondo dell'ombra e il suo incredibile recupero facevano ben sperare che ci fosse la stessa possibilità anche per gli altri ragazzi che avevano quel problema. 

Poi , il 26 maggio del 2001, la Stampa riportò la notizia di un rapinatore solitario di 28 anni, che aveva rapinato con le armi in pugno una tabaccheria e che, inseguito dai carabinieri, aveva travolto ed ucciso, nella fuga, un uomo di 34 anni, molto stimato, padre di due bimbe. Era Gabriele, che aveva nuovamente bisogno di molti soldi per procurarsi l'eroina. Tutto ricominciava, ma questa volta con l'aggravante della rapina a mano armata e della morte di un uomo. La città era inorridita e gridava all'assassino, al depravato, al mostro. Sui giornali comparve, dopo alcuni giorni, un altro articolo, scritto dai colleghi di lavoro di Gabriele. Essi pregavano la collettività di non odiarlo, perché Gabriele era stato per loro un compagno gentile, disponibile, diligente nel lavoro, un buon amico. Anche quegli uomini, adulti, padri di famiglia, onesti e rudi lavoratori, erano stati conquistati da Gabriele e non si sentivano di condannarlo! Responsabili di tutto erano, secondo loro, l'eroina e quegli spacciatori che lui non aveva mai tradito. 

Mi sono chiesta tante volte perché un ragazzo, che avrebbe potuto avere tutto dalla vita, avesse in se stesso quella sorta di congenita inquietudine che lo spingeva continuamente verso le "emozioni forti", che lo costringeva a cercare sensazioni sempre al di fuori della "normalità", fin dai tempi dell' infanzia. Gabriele non era un debole, un vigliacco, una nullità: era un leader, un vincente, un duro. Aveva una famiglia che lo amava, si interessava a lui , soffriva e piangeva per lui, amici sinceri e "sani"che gli volevano bene, l'amore di una donna . Non avrebbe avuto bisogno di rifugiarsi nelle illusioni per vivere una vita piena, intensa ed appagante...eppure si è bruciato da solo nel giro di pochi anni, spinto da un terribile istinto di autodistruzione. Gabriele, l'angelo del male... Perché, Gabriele, perché? Perché quelle "emozioni forti" non ti sono bastate mai?

Oggi Gabriele ha più di quarant’anni. Ha trovato un lavoro onesto, una nuova compagna che non ha mai avuto nulla a che fare col mondo della droga e ha anche una figlia. Sta ricominciando a suonare con i suoi vecchi amici di un tempo, quelli che, pur disapprovando il suo genere di vita, non l'hanno mai abbandonato. Anch'essi sono diventati uomini, lavorano e hanno messo su famiglia. La vita ha dato a Gabriele ben più di una possibilità di riscatto e, forse, stavolta ha saputo coglierne una per ricostruire la sua vita. Anche gli amici, che l'hanno accompagnato e atteso, tra alti e bassi, per circa trent'anni, dimostrano che la vera amicizia esiste e che, qualche volta, se lo si vuole e se ci si crede, può veramente cambiare la vita. Per noi, insegnanti che prendiamo a cuore i casi dei nostri ragazzi e ci interessiamo al loro percorso di vita ben oltre i tre anni della scuola media, una lezione in più. Perché, se è vero che cerchiamo di insegnare, è altrettanto vero che, a volte, siamo noi ad imparare: sugli uomini, sulla vita, sulle relazioni e sul destino. E non è poco...


4 commenti:

  1. Buon giorno prof,
    sono Mascarello Daniele. Il suo blog e' fantastico e pieno di racconti mozzafiato. Ci vediamo a scuola. Buon week end.

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  2. Ciao Daniele, sono contenta che ti piacciano il mio blog e le mie storie di vita reale. Succedono spesso fatti belli o interessanti nella vita che fanno venire la voglia di raccontarli.
    Arrivederci a scuola e torna a leggermi, se vuoi!

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  3. Molto bello il tuo blog,mi piace visitarlo.Olga

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  4. Sono contenta che ti piaccia, grazie mille per la tua gentilezza!

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