sabato 29 ottobre 2016

SOGNO O SON DESTA?

Le mie giornate sono sempre state caotiche. In famiglia raccolgo sfoghi, problemi e lamentazioni di marito e figlio, cercando di mediare le situazioni e suggerire soluzioni; a scuola mi ritrovo ad essere non soltanto insegnante, ma anche psicologa, intrattenitrice, consolatrice,  carabiniere e tecnico informatico; poi ci sono le situazioni di emergenza, come il mese trascorso con operai, elettricista, idraulico, trasportatori e una grossa gru in cortile, per il rifacimento del tetto. Ci si è messo pure il dentista, che dapprima mi ha diagnosticato una fortissima parodontite, che avrebbe potuto richiedere persino un intervento chirurgico per essere risolta, infine mi ha dichiarata “miracolata”, guarita in modo del tutto imprevedibile e quindi candidata ad alcuni impianti per rimettere denti che ormai non ci sono più. Povere le mie tasche! E le mie gengive!Problemi su problemi…

Mio padre, che a causa della fragile salute era vissuto per un po’ strettamente a contatto con noi, condividendo tutti i nostri traffici, ( a quel tempo ci prendevamo anche cura di mia madre con l’Alzheimer, che ne combinava di tutti i colori) diceva sempre: “ Se non sono ancora diventato matto, è proprio perché non è destino che lo diventi!”
 Ora ho fatto mia quella sua affermazione perché, a volte, anch'io ho il timore di poter perdere la ragione.

Di notte però, quando la mente si libera dal peso delle preoccupazioni e si abbandona alla fantasia, cosa di cui sono sempre stata piuttosto provvista, ecco che accadono fatti meravigliosi  che mi fanno risvegliare la mattina con una deliziosa sensazione di pace e di bellezza.
Vi racconto uno dei miei ultimi sogni.

Mi trovo a passeggiare lungo una strada quando vedo un cestino di vimini, tondo, con un bel coperchio. Lo prendo in mano e mi si avvicina una coppia di persone mai viste nella vita reale. La signora m’interpella: “Ah, l’hai trovato tu? Ora è tuo! E’ un cestino magico, che permette di viaggiare volando.” Io sono molto stupita e la signora continua: “Se vuoi, ti faccio vedere come funziona. Mio marito ed io dobbiamo andare al cimitero a portare dei fiori e potresti venire con noi.”

Detto fatto, la signora apre il cestino e ci accomodiamo dentro, seduti sul fondo. Stranamente si è ingrandito per permettere la nostra presenza e sui lati sono apparsi degli oblò che permettono di vedere fuori. Il cestino è completamente vuoto, ci siamo solo noi. Non c’è motore, ne’ una qualsiasi attrezzatura per pilotarlo. Si alza da terra senza alcun rumore e comincia a volare, stando però abbastanza basso da permettere la visione di paesaggi meravigliosi. Città, campi, laghi, fiumi, foreste…
“Ma … dov’è il cimitero in cui dovete andare? “ Chiedo sorpresa alla signora. Lei mi risponde che si trova in Scozia. Intanto continuano a scorrere bellissimi paesaggi. Ci sono persino la Tour Eiffel, l’Arco di Trionfo, Montmartre, la basilica del Sacro Cuore … Parigi! E’ uno spettacolo stupendo.
Finalmente atterriamo, dolcemente, senza alcun rumore. Usciamo dal cestino e lo vediamo subito rimpicciolire, tanto da poterlo tenere sottobraccio.  La coppia si allontana per portare i fiori al cimitero ed io rimango sola ad osservare quanto mi sta intorno. E’ un luogo bucolico, in aperta campagna, con piccole strade sterrate e nessun veicolo in circolazione, a parte qualche trattore.
Le case sono i tipici cottage dipinti da Thomas Kinkade, il “pittore della luce”, così come gli ambienti, pieni di alberi, fiori, colori.

Con il mio cestino sottobraccio mi addentro in quel paesino da fiaba, guardo con meraviglia tutto ciò che mi circonda, saluto le persone che passano affaccendate, tutte rigorosamente a piedi, ascolto il canto degli uccelli, il fruscio del vento tra le fronde, il rumore di un ruscello che scorre e i miei sensi ne traggono un piacere immenso: c’è bellezza, c’è pace, c’è armonia e, soprattutto, una grande serenità!





 

Improvvisamente però … Drinnnnn! La sveglia! Il magico mondo scompare insieme al cestino e la vita quotidiana irrompe, con la sua realtà stressante. Però il sorriso sulle labbra c’è ancora, così come la dolcezza delle sensazioni provate.

Meno male che esistono i sogni!   


sabato 1 ottobre 2016

STORIA DI UNA VECCHIA CASA



In questi giorni stiamo ricostruendo il tetto della nostra casa. Tantissime volte, nella mia vita, ho convissuto con i lavori dei muratori e la storia è molto lunga. 

La dimora in cui vivo, infatti, fu costruita dal mio bisnonno alla fine del 1800, tramandandosi poi attraverso le generazioni. Ancora conservo l’atto di vendita del terreno, scritto nel lontano 1883.
E’ difficile decifrare la calligrafia vergata con la penna intinta nel calamaio, con i caratteri rivolti a destra, ma l’inizio era questo: 

“Regnando sua Maestà Umberto I, per grazia di Dio e per volontà della Nazione d’Italia, l’anno milleottocentoottantatrè, al tredici del mese di Aprile, in una camera del piano terreno del sig … posta in via …. ivi davanti a me, avvocato Giacomo Operti, regio notaio, è personalmente comparso il sig. Bonardo Francesco il quale, liberamente e spontaneamente vende alli qui presenti signori….terreno fabbricabile al prezzo di lire trecento caduno. 


Si trattava appunto del mio bisnonno Giovanni e del suo amico Gioachino che, davanti al notaio Operti,  acquistavano da un certo sig. Bonardo il terreno per costruire la loro casa. Il bisnonno aveva firmato con una croce, perché risultava analfabeta.

 Mio padre mi aveva raccontato che i due amici avevano fabbricato personalmente i mattoni, lasciandoli poi ad asciugare in un campo, ed erano andati a Torino a piedi, camminando per circa cinquanta chilometri con un carro trainato dai buoi, per acquistare le rotaie da utilizzare per rinforzare i soffitti. Avevano poi, alla fine di tutto, tirato a sorte con due pagliuzze, per stabilire chi avesse dovuto abitare la parte a sinistra e chi quella a destra.
Addirittura, la ferrovia Bra Carmagnola, sulla linea per Torino, non esisteva ancora e, quando venne costruita l’anno dopo, tagliò in due il terreno dietro casa, per cui una parte rimase isolata e venne poi venduta.

Negli anni successivi, mio nonno, mio padre ed ora noi, abbiamo continuato ad apportare modifiche alla vecchia casa. Mio padre aveva fatto addirittura abbattere la parte posteriore per ricostruirla completamente dalle fondamenta, ancorandola poi con nuove rotaie di ferro al vecchio fabbricato, in modo da renderlo più solido.
Nonostante tutto, andando a scoperchiare il tetto e  controllando il piano del solaio, ecco che una parte di quel soffitto e di quelle rotaie portate a casa col carro e i buoi è ancora saltata fuori e, purtroppo, dopo più di cento anni, era proprio in cattive condizioni. Le rotaie si erano curvate al centro e i mattoni stavano per sgretolarsi. Appena in tempo! Così la ricostruzione del tetto è stata rimandata per mettere in sicurezza quella parte del pavimento e ci dobbiamo accontentare della copertura di un telone. Speriamo che non piova!


Ho pensato spesso alle persone che hanno vissuto nella mia casa e che non ho mai conosciuto. Chissà com’erano i miei bisnonni! La loro vita sarà stata difficile. Chissà se erano felici! Dai racconti di mio padre, in fondo alla strada, vicino ad un canale d’acqua,  esisteva una lavanderia. Immagino che le donne andassero là a lavare le lenzuola. Altro che le nostre belle e comode lavatrici! Poi provo ad immaginare i miei nonni con i loro figli… Mio padre mi parlava spesso di sua madre e della sua bontà. Mi sarebbe tanto piaciuto conoscerla!  Anche il figlio maggiore doveva essere una persona molto in gamba. Nato nel 1911, aveva già frequentato la Scuola Media, allora chiamata “ avviamento” ed era consigliere comunale. Purtroppo, sia lui che la madre erano mancati troppo presto, lasciando mio padre orfano a otto anni e molto solo a undici. Il padre, forse segnato da così tanti dolori, si era chiuso in se stesso, incapace di amare anche il suo unico figlio rimasto in vita.

Eh già, incredibilmente, il termine “figlio unico” ricorre spesso nella mia famiglia. Mio nonno, mio padre, io e mio figlio, siamo tutti figli unici. Chissà se lo fosse anche il mio bisnonno? E’ probabile, visto che costruì la  sua casa con un amico e non con un fratello! Strana situazione, soprattutto ai  tempi in cui le famiglie erano molto numerose! Però, se non fosse stato così, forse questa casa non sarebbe mai arrivata a me, con tutti i suoi fantasmi e i suoi segreti.

Ci sono poi i ricordi. Ne ho tanti con i miei genitori: le calde estati trascorse a chiacchierare in cortile con i vicini, i discendenti di quel tale Gioachino, e a parlare della guerra e delle loro avventure giovanili; i passaggi nel lettone di mamma e papà, con le tante storie che sapevano improvvisare e raccontarmi;  i giochi con i bimbi del vicinato e le signore che, in tempo di siccità, venivano a prendere l’acqua del nostro pozzo, unico produttivo in tutta la via; le serate a guardare l’unico canale in bianco e nero della televisione con i vicini che non l’avevano ancora e le chiacchiere delle signore che venivano a portare il lavoro a mia madre sarta… Ogni stanza, ogni angolo, è legata ad un ricordo.

Lo so, ci sono al mondo tantissime case molto più belle ed efficienti della mia, ma nessuna mi parlerebbe mai come lei e in nessuna sentirei mai il respiro dei miei avi come in lei. Ora le metteremo il cappellino nuovo. Chissà se i miei vecchi riusciranno a vederlo da lassù!Mi piace pensarlo e già mi sembra di vedere mio padre che mi strizza l’occhiolino…