mercoledì 31 ottobre 2012

Un po' di me...



Ho superato la boa del mezzo secolo e, anche se la cosa mi fa parecchia impressione, almeno nello spirito mi sento molto più giovane ( ma il mio corpo non è troppo d'accordo...)

Sono nata il 30 giugno, in una calda notte d'estate e sono rimasta figlia unica. Sono stata molto amata e tanto ho amato. Tutti coloro che entravano a casa nostra lo percepivano e dicevano: "Quanto ti devono amare i tuoi genitori! Si vede da come ti guardano, da come ti ascoltano..." Era vero, e anch'io lo sapevo. Eppure i miei genitori non mi hanno mai viziata. Mio padre era dolcissimo, ma sapeva essere autorevole quando necessario e i suoi "No" erano categorici ,mentre mia madre non lo contraddiceva mai nelle decisioni. Non erano nemmeno tipi da abbracci e baci. Non ricordo che l'abbiano mai fatto. Loro erano "presenti",  si interessavano a ciò che facevo, mi incoraggiavano, mi aiutavano come potevano, ma non mi lodavano mai. Per loro andava sempre "abbastanza bene" e, a volte, questo mi faceva arrabbiare.

Io, a cinque anni.
 Non ci è mai mancato il necessario, ma il superfluo era un lusso che non potevamo permetterci. Ad esempio, non avevamo la macchina. Papà diceva che non era necessaria, visto che dovevamo solo spostarci in città, e così tutti andavamo in bicicletta: lui al lavoro, io a scuola, mia madre a fare la spesa. Avevamo la casa nostra, ma non i termosifoni, e papà scendeva la mattina presto per accendere la stufa. Però siamo stati i primi ad avere la televisione, perchè "era cultura", e i vicini venivano a casa nostra per vedere le trasmissioni, sull'unico canale di allora, mentre io, tra i quattro e i cinque anni, imparavo a leggere e scrivere correntemente dal famoso Alberto Manzi, con la trasmissione "Non è mai troppo tardi". Da quel momento, a casa nostra, i libri non sono più mancati.
Mio padre, che andava a lavorare in bicicletta anche in pieno inverno.
 Un altro "lusso" furono le lezioni di piano, tipiche delle signorine di buona famiglia di allora, non certo dei figli degli operai e delle sarte. Mia madre aveva in mente di farmi diventare maestra e si ricordava che, ai suoi tempi, gliene piaceva tanto una che veniva nella sua classe per insegnare le canzoncine, perciò io avrei potuto essere come lei e fare felici tanti bambini.
In mezzo a tutte le signorine "bene" della città, poco avvezze alle fatiche dello studio, io, a otto anni, emersi subito, tanto che gli insegnanti mi proposero persino di darmi lezioni gratis, purché non smettessi. Fu così che presi, ancora preadolescente, la decisione di diventare insegnante di musica. 

Attraverso il loro esempio, i miei genitori mi hanno insegnato a portare a termine gli impegni presi, a mantenere la parola  data, a essere parsimoniosa, a non giudicare gli altri, a vedere il lato positivo delle cose, a rispettare persone, animali e cose ma, sopratutto, ad amare e a sentirmi felice per ciò che ho e che riesco a conseguire con l'impegno e il sacrificio. 

I miei genitori ridevano spesso e trasmettevano allegria.
 Da ragazza ero molto timida e mio padre mi spingeva a uscire, ad andare a divertirmi, piuttosto che stare in casa a leggere. Fu così che, dopo sua insistenza, a diciannove anni andai ad una festa dove conobbi un ragazzo della mia età e "festa fu galeotta". Dopo cinque anni di frequentazione ci sposammo e, da allora,  siamo ancora insieme.
Ieri sposi...
 Abbiamo un figlio di venticinque anni, laureato, che pratica diversi sport, è appassionato di fotografia e suona la chitarra. 
Fotografia, che passione!

 Abbiamo anche un cane, volpino Spitz, ancora cucciolo, che ne combina di tutti i colori.
Terry adora mio marito, non lo molla un istante!
All'appello possiamo anche aggiungere mia madre, malata di Alzheimer da sette anni, che vive in un mondo tutto suo. Tanto amore ho ricevuto, tanto sto restituendo.

Insegno musica da anni nella scuola della mia città, in provincia di Cuneo, la stessa che avevo frequentato a mia volta.

Non sono un tipo particolarmente sportivo, ma mi piace camminare, andare in bicicletta ( non in salita però!) nuotare e, comunque, non sono una che stia sempre ferma.

Mi piace tutta la musica, ma non amo troppo il rock duro o la musica assordante. Quando studiavo pianoforte mi dissero che ero un'interprete piena di fuoco e passione e, in effetti, ho sempre odiato Debussy, che mi costringeva ad essere "eterea ed evanescente", proprio perché non sono riuscita ad esserlo mai.

Sono una che mangia poco, pertanto non amo cucinare, però lo faccio "per dovere" e me la cavo discretamente. Non mangio il gorgonzola, i formaggi stagionati o puzzolenti e i cetrioli, i cibi particolarmente grassi. Quando vado ad un pranzo, passo direttamente dagli antipasti al dolce e alla frutta.

Sono cattolica, ma "tiepida". Vorrei tanto che mio padre avesse creduto nell'aldilà e mi avesse promesso di aspettarmi e vigilare su di me.  Sarebbe molto più facile accettare la sua assenza, ma lui è sempre stato così: non prometteva niente che non fosse sicuro di mantenere.

Amo la campagna, i grandi spazi, il mare. La montagna m'intristisce e non mi fa sentire bene. 

Rido, piango, mi commuovo e mi arrabbio quando leggo un libro o guardo un film. In questi ultimi anni mi sono vietata qualsiasi lettura o film che tratti argomenti violenti o di guerra perchè mi fanno stare troppo male. E' una sofferenza non solo mentale ma, addirittura, fisica e questo non va bene.

Da più di otto anni sono una blogger, parlo e scrivo tanto...sono fatta così!

sabato 27 ottobre 2012

Ricordi in pillole.



Ricordi d'infanzia al tiro a segno


I più bei ricordi della mia infanzia risalgono al primissimo periodo, da quando avevo iniziato a capire e a memorizzare ciò che mi circondava, fino ai cinque-sei anni circa.

E’ incredibile come si siano fissati nella mente quei ricordi così lontani nel tempo!
Essi sono legati ad un luogo particolare, che io amavo moltissimo: il tiro a segno.
Il tiro a segno visibile in fondo al viale  con la casetta a lato.

Non si tratta del tiro a segno di un luna park, come qualcuno potrebbe pensare, ma di un poligono di tiro demaniale, in cui i militari di leva si recavano per le esercitazioni durante il periodo di addestramento.
I miei nonni erano stati, fin dai tempi antecedenti alla seconda guerra mondiale, i custodi di quel luogo e le loro quattro figlie e tutti noi nipoti eravamo nati là, nella grande, vecchia casa demaniale.
Mio nonno e le sue quattro figlie
 Il tiro a segno si ergeva solitario in aperta campagna, tra campi di grano e di trifoglio; l’ingresso era costituito da un lunghissimo viale alberato da secolari ippocastani e ricordo che la mamma usava spesso raccontarmi che la mia nascita era avvenuta all’ombra di un ippocastano (differentemente dal tradizionale cavolo!)
C’erano vasti spazi: un grande cortile, la vecchia casa piena di stanze, tra cui una grande cucina, una sala da pranzo stile "trattoria” e una cantina sotterranea buia, profonda e misteriosa. Poi c’era l’edificio del tiro a segno, con lo stemma della Repubblica e la bandiera svettante sulla cima, tante porte che nascondevano uffici, armadi pieni di fucili, luoghi che mi apparivano misteriosi…
Io, a tre anni, nel cortile del tiro a segno.

Ricordo che, aprendo una porta , si accedeva ad una stanza senza soffitto che, al posto del pavimento, aveva un prato verde ricoperto interamente da margherite…nei ripostigli poi, si scoprivano sempre nidiate di gattini e gli oggetti più strani…c’erano persino un monopattino ed una bicicletta-tandem!
Dietro l’edificio si trovava una serie di alti cumuli di terra ricoper
ti di arbusti, trifoglio, piantine di menta e fiori selvatici, che servivano a fermare le “pallottole vaganti”. Sotto a queste collinette si trovavano le trincee, dove gli uomini preposti a quella attività, alzavano e abbassavano, attraverso una specie di carrucola, i bersagli per i tiratori. Tutto intorno c’erano i campi di grano coltivati dal nonno.
Papà ed io nei campi del tiro a segno

Una volta all’anno scendevano dalle montagne i pastori per portare le greggi a pascolare nei prati circostanti. C’era un’apertura in una siepe ed io potei avvicinarmi a loro. Conobbi una bambina della mia età chiamata Graziella ed insieme trascorremmo giorni a giocare con gli agnellini. Chissà dove sarà adesso!
D’estate, i generi e le figlie venivano ad aiutare il nonno per la trebbiatura e poi si facevano delle grandi feste. Durante il lavoro, la nonna mi teneva compagnia all’ombra delle grandi e odorose colline sovrastanti le trincee e mi raccontava molte storie. 
Nonna Ghitina

 Tutte le domeniche parenti ed amici arrivavano dalla città per la classica merendina…nonna Margherita, detta “ Ghitina” era uno scricciolo di donna, ma abile ed attiva e nonno Toni era un uomo apparentemente burbero, ma dal cuore d’oro. Avevano tantissimi amici e non c’era domenica che non avesse la sua festa. Benchè si fosse agli inizi degli anni ’60, la zona era così solitaria che ancora non era stata raggiunta dalla corrente elettrica, perciò la gente ballava alla luce di grandi lampade a gas, e la musica proveniva da un vecchio grammofono a 78 giri. 

Il nostro vecchio grammofono. Lo conservo ancora.
A turno si girava la manovella per dargli la carica ( a volte qualcuno girava troppo in fretta e le voci maschili diventavano femminili….) e, ogni due facciate del disco, bisognava cambiare la puntina. C’era un’atmosfera così familiare, gioiosa e calda in quei momenti, mentre le lunghe ombre si proiettavano sui muri e le risate risuonavano nelle stanze!
Poi cominciavo a dare segni di stanchezza e zia Lucia mi accompagnava in un immenso letto, per farmi sprofondare in un morbido cuscino di piume d’oca e per cantarmi la ninna nanna. Ricordo ancora adesso il suono della sua voce e le mie sensazioni di allora: era una voce cantilenante, lamentosa, ma anche rassicurante e piena d’amore e presto mi addormentavo, sognando di danzare alla luce delle grandi lampade.

Per quel che ricordo, questa somiglia alle lampade dei nonni.
Riconosco, col senno di poi, che la vita non dovesse essere facile per i miei nonni in quel luogo così isolato e privo di comodità, ma per me, bambina piccolissima, era un luogo magico. I nonni si sentirono in seguito effettivamente troppo vecchi per continuare a fare i custodi e lasciarono il posto ad altre persone più giovani, così il mio breve sogno, ben presto naufragò.

Non ho mai dimenticato il tiro a segno: ci sono tornata qualche volta da adulta, con la scusa di far vedere al mio bambino il luogo della mia nascita. Il nuovo custode ci ha permesso di visitarlo e ci ha spiegato tutte le innovazioni apportate nel corso degli anni. Adesso è un circolo privato , un moderno poligono con attrezzature all’avanguardia, settori specializzati e armi sofisticate.


Non mi sembra più così grande e sconfinato, adesso sono cresciuta e i miei orizzonti si sono allargati. Intorno sono state costruite abitazioni, cascine , capannoni e la strada è stata allargata e asfaltata.
Sono rimasti però i campi di grano, il profumo di menta selvatica, le collinette ricoperte da arbusti e fiori di campo, dove un falco costruisce ancora, ogni anno, il suo nido, da cui spicca superbi voli planari.
E sono rimasti i ricordi della famiglia patriarcale, con le sue sensazioni di affetto, di solidarietà e di calore umano.

Non si possono dimenticare le proprie radici!


giovedì 18 ottobre 2012

Un pomeriggio tranquillo... ma non troppo!



Era da un po' di tempo che la mia amica Fla ed io pensavamo di trovarci un pomeriggio per scambiare due chiacchiere. Finalmente, ieri sembrava fosse proprio arrivata la giornata giusta e mi ero preparata a riceverla. Mio figlio, arrivato dal lavoro, era andato a dormire. La sera prima era stato ad una festa di compleanno e aveva fatto le ore piccole,  con un sonno non ancora recuperato del tutto. Mio marito era uscito con il cane e mi aveva informata che non sarebbe tornato fino alle diciotto. Mia madre stava girellando in cortile, come il solito, ed io cercavo di mettere a posto la cucina in modo da avere tutto il pomeriggio libero da dedicare alla mia amica. A un certo punto, ho pensato che erano già passati troppi minuti senza vedere mia madre, così sono andata a cercarla. L'ho trovata in fondo all'orto, seduta nella fossa del compostaggio, mezza sepolta dall'erba tagliata del giardino e contornata da bucce di banana. Non sembrava particolarmente spaventata e non si lamentava neppure, comunque c'è voluto del bello e del buono per riuscire a  tirarla fuori e ripulirla. Era tutta verde e sembrava l'incredibile Ulk. Appena rimessa a lucido, l'ho coricata. 


Poco dopo è arrivata Fla e le ho detto contenta:  "Abbiamo il pomeriggio per noi, possiamo chiacchierare tranquille, i miei familiari sono tutti sistemati!"
Stavamo giusto sorseggiando un buon caffè quando si è aperta una porta. Mia madre si era già svegliata e dimostrava chiaramente l'intenzione di ricominciare i suoi vagabondaggi in cortile. Temendo che finisse un'altra volta nel compostaggio, l'ho sistemata sul divano e le ho dato una brioche. L'unico modo per tenerla un po' ferma è, infatti, quello di farla mangiare. 

Ci stavamo appena rilassando nuovamente un pochino quando è squillato il cellulare. Era mio marito che m'informava dell'arrivo del vetraio con la nuova porta della doccia e mi faceva sapere che anche lui e il cane stavano tornando a casa. Poco dopo è arrivato quindi un grosso furgone con il vetro e due operai e, subito dopo, anche  la mia dolce metà con volpino scodinzolante al seguito.  Terry non sapeva più se fare le feste ai vetrai o a Fla, correva quindi dagli uni all'altra rotolandosi a pancia all'aria per farsi coccolare, mentre mia madre riprendeva la sua fuga ed io dovevo inseguirla perché, nel trambusto, il cancello era rimasto aperto e stavolta avrei proprio potuto perderla del tutto. La mia povera amica era piuttosto frastornata e continuava a dire che avrebbe fatto meglio ad  inforcare la bicicletta e tornarsene a casa, ma io rispondevo che ormai la situazione era sotto controllo e potevamo riprendere i nostri discorsi. 

Sistemata mia madre sul divano, calmato il cane, dato le indicazioni agli operai che montavano il vetro, ci siamo nuovamente sedute, ma l'avevamo appena fatto che già squillava il campanello. Era un amico di mio figlio che era passato a chiamarlo per andare a Torino. Svegliato il pargolo, che nel frattempo aveva continuato a dormire della grossa, bisognava far spostare il furgone perché ostruiva il passaggio ai ragazzi che dovevano uscire con la macchina e, nel frattempo, era necessario trattenere il cane perché, con il cancello aperto, tende a scappare per andare a trovare una cagnetta che abita poche case più lontano, con il rischio di finire sotto qualche auto. La povera Fla era già di nuovo in piedi con la borsa in mano, pronta alla fuga. Bisognava portare poi qualcosa da bere ai vetrai e, successivamente, permettere loro di uscire dal cancello col furgone, riacciuffando quella birba d'un cane che continuava a scodinzolare  e a correre dietro all'uno e all'altro e mia madre che, nel frattempo, stava nuovamente girando in cortile. 

A farla breve, la mia amica ed io abbiamo avuto ben poco tempo per rilassarci e per scambiare quattro chiacchiere, anzi, mi sa che le sarà pure salita la pressione, con tutto quel trambusto! 

E pensare che avevamo programmato un tranquillo pomeriggio di relax. Avrei dovuto mettere in conto che, a casa mia, il termine "relax" non esiste!