Mio marito ed io viviamo nella casa che fu costruita dal mio bisnonno nel lontano 1889. Da quel momento, ogni generazione vi ha apportato migliorie, cambiamenti, ristrutturazioni importanti; non avrebbe potuto essere altrimenti, perché, dopo così tanti anni, la casa adesso cadrebbe letteralmente a pezzi, se nessuno mai se ne fosse occupato.
L'altro giorno, scartabellando tra vecchi documenti, ho scoperto che mio nonno nacque nel 1874, di conseguenza, presuppongo che suo padre fosse nato non dopo il 1850. Ciò che mi stupisce è che, fin da allora, la famiglia di mio padre fosse costituita interamente da "figli unici": il bisnonno, mio nonno, mio padre, io ed ora mio figlio. Non è sicuramente normale, soprattutto pensando alle tipiche famiglie contadine dell'ottocento e del primo novecento, di solito numerosissime.
E' una curiosità che ho sempre avuto, anche se non potrò mai scoprire la risposta. Forse le antenate della mia famiglia erano soggette ad una sorta di maledizione che le portava a morire dopo la nascita del primo figlio? O erano i figli a morire tutti, per una sorta di selezione naturale che lasciava in vita un unico superstite a preservare la dinastia? Nel caso in cui fossero state le donne a perire, cosa che ritengo più probabile, pare altrettanto certo che i loro mariti non pensarono mai a convolare a seconde nozze. L'unica donna di cui abbia testimonianza è la madre di mio padre, mancata quando lui aveva appena otto anni e, anche in questo caso, mio nonno non si risposò più. Fedeltà imperitura alla prima moglie? Sfiducia nel matrimonio? Dolore insuperabile? Chissà! Esisteva pur un altro figlio, ma morì all'età di vent'anni per una brutta polmonite, lasciando mio padre, allora undicenne, irrimediabilmente figlio unico.
Così la casa, nel corso di un secolo, è passata per eredità di padre in figlio, in una sorta di catena naturale.
Mio figlio, che non vive già più con noi, aveva studiato a suo tempo, per un esame di antropologia all'università, che una famiglia composta esclusivamente da figli unici si estingue naturalmente alla quinta generazione. Ora, con lui, siamo appunto arrivati alla quinta generazione e già si è perso il cognome, visto che io, essendo donna, non ho potuto trasmetterglielo. In effetti, quando lascerò questa Terra, non resterà più nessuno dell'originaria famiglia e mio figlio non avrà nessun parente con il mio cognome. Chissà che ne sarà della mia vecchia casa? I giovani d'oggi sono portati a spostarsi, a vedere il mondo. Non sentono più il forte legame alle radici come noi.
Mi sembra di vedere il mio bisnonno mentre fabbricava i mattoni a mano, mettendoli poi ad essiccare in un campo, o mentre camminava a fianco dei buoi per andare a Torino, a piedi, per caricare sul carro le rotaie che sarebbero servite per rinforzare i soffitti. Immagino la casa che cresceva e, pian piano, si popolava, testimone della vita difficile dell'ottocento e di quella durante la prima guerra mondiale. Penso a mio nonno che seppelliva la giovane moglie e il figlio primogenito di vent'anni che, nella bara, aveva voluto con sé tutte le lettere della fidanzata, affinché quell'amore puro e prezioso restasse per sempre inviolato. Vedo mio padre bambino che aspettava al balcone, ogni giorno, il ritorno della mamma, fino a capire che non sarebbe tornata mai più. Più tardi, mandava lettere a suo padre dalla Libia, durante la seconda guerra mondiale, tutte passate al vaglio della censura. Ripenso ai miei ricordi di bambina, sposa e madre...
Nonna Caterina e nonno Pietro, mai conosciuti. |
Finirà tutto con la quinta generazione, come attestano i trattati di antropologia? Tutto andrà perduto?
Chissà!