Sembra ieri che era vacanza ed invece sono già trascorse tre
settimane del nuovo anno scolastico.
L’anno scorso era terminato con le nostre grandi, sofferte,
combattute, travagliate, promozioni. In molte classi, infatti, erano presenti
uno o più elementi che veramente ci avevano fatto soffrire e, con noi, i loro
compagni.
Non vorrei sembrare razzista, perché non lo sono affatto e le
nostre classi sono ormai quasi tutte felicemente multietniche, ma bisogna
prendere atto che non tutti i nuovi arrivi in una scuola possono essere
positivi. Un conto sono i bambini nati in Italia, scolarizzati fin dalla tenera
età e abituati a convivere nella nostra società, o quelli appartenenti a
famiglie con una certa cultura, un altro
sono i ragazzi quindicenni o anche più grandi che arrivano da noi e che, grazie
alla mancanza di documenti, per motivi opportunistici vengono registrati come
dodicenni. Sono alunni che, nel loro Paese, sono abituati a vedere i maestri
che picchiano i discenti indisciplinati e, spesso, sono anche ragazzi educati a
pensare che le donne non contino nulla se non a riprodurre la specie e ad
essere sottomesse. Sono giovanotti grandi e grossi, uomini fatti, tutti muscoli
e poco cervello, che approfittano del nostro essere insegnanti donne, per di
più impossibilitate dalla legge ad usare “misure forti” e dei loro compagni più
piccoli e facili da intimorire, per
comportarsi come dei veri e propri teppisti. Mandarli dal preside? Se ne
infischiano. Arrivano anche a mandarlo affan… Scrivere una nota sul diario? I
genitori non capiscono l’italiano. Sospenderli? Non si può, perché i familiari
non possono prendersene cura e non si può mettere in strada un minorenne.
Ragionare con loro? Impossibile, non ci considerano in quanto femmine. Alcuni
non hanno nemmeno i genitori e vivono con parenti che permettono loro di stare
tutto il giorno in giro e frequentare ogni sorta di compagnie per nulla
raccomandabili.
Ovviamente ci sono anche quelli che arrivano in prima media
non sapendo parlare nemmeno una parola d’italiano e che terminano la terza risultando
più bravi dei loro stessi compagni, ma anche loro finiscono per subire la
prepotenza dei bulli sopracitati.
Ah! Ma non ci sono soltanto le “perle” straniere, esistono
anche quelle nostrane! Proprio stasera ho visto sulla pagina di facebook di un
nostro italianissimo alunno dell’anno scorso un’immagine con una pistola e la
scritta: “La vera scuola è la strada perché è proprio lì che s’impara ad andare
avanti e a non arrendersi mai”
L’anno scorso era battaglia ogni giorno. Bisognava impedire
che questi bellimbusti diventassero leader negativi, prevenire e sopprimere gli
atti di bullismo, cercare d’insegnare almeno qualche regola di buona educazione
( e tenere d’occhio il portafogli! ). Non parliamo del programma. L’unico
obiettivo era quello di riuscire a svolgere la lezione senza che il resto della
classe venisse penalizzato e senza farsi venire una crisi di nervi.
Alla fine dell’anno, però, tutti i nodi erano giunti al
pettine. Era giusto promuovere questi alunni, mandandoli alle superiori, quando
avevano platealmente ignorato qualsiasi attività didattica, anzi, ne avevano spesso
impedito il normale svolgimento? Quando avevano minacciato i compagni, risposto
in malo modo agli insegnanti e combinato altre marachelle che non voglio
nemmeno nominare?
D’altra parte, era giusto continuare a tenere con noi dei
ragazzi sempre più adulti che si sarebbero comportati ancora peggio impedendo
ai nuovi compagni di vivere serenamente
la loro esperienza scolastica?
C’era solo un modo per liberare gli altri
ragazzi da questa persecuzione: la promozione.
Ah! Abbiamo dibattuto, in ogni corso ed in ogni classe, il
dilemma. Ci siamo scontrati, abbiamo sofferto, ci siamo arrovellati, non
abbiamo dormito la notte…Che messaggio avremmo trasmesso alle classi? Che i
fannulloni prepotenti vincono sempre, che
neanche a scuola c’è giustizia, che i professori sono impotenti di fronte a
certe situazioni.
Alla fine, pur a malincuore, abbiamo preferito mandare avanti
questi ragazzi. Forse in un’altra scuola, dove non sembreranno più cosi grandi,
o nel mondo del lavoro, riusciranno a trovare
qualche motivo d’interesse.
Così, quest’anno, siamo tornati ai piccoli problemi di un
tempo:
“Professoressa, questa regola devo scriverla in rosso o in blu? Va bene
questo quaderno?"
Sorridiamo sotto, sotto. Tornano i ricordi di una scuola umanamente
ricca e serena. Chissà…